Tramite Twitter ho conosciuto Lorenzo Santoro, che mi ha proposto questo interessante articolo sulla musica nell’era digitale.
La Digital Disruption ha colpito anche il settore musicale, anzi, si potrebbe quasi dire che è cominciata proprio da lì… vi ricordate Napster?
Scopriamo quindi a che punto siamo, e cosa ci aspetta per il futuro!
di Lorenzo Santoro
Oltre venti anni dopo la diffusione di massa di Internet è noto che il settore musicale è sicuramente tra quelli che ha subito con maggiore enfasi l’effetto delle nuove tecnologie. Non solo le modalità di fruizione, ma anche l’idea stessa di merce è mutata radicalmente agli occhi dei consumatori. La scomparsa del vinile, ridotti a oggetto di collezionismo e di feticismo, delle audiocassette, ha fatto seguito quindi alla progressiva riduzione delle vendite di CD, all’avvento di nuovi formati di musica in alta definizione (SACD), relegati a piccole frange di mercato. La grande intuizione di Apple di fornire con i player mp3 e con itunes un sistema integrato e di grande effetto di fruizione della musica digitale, ha, in qualche modo, permesso alle case discografiche e alle multinazionali del settore di rappacificarsi con le nuove tecnologie. Ma adesso cosa sta per succedere?
Silicon Valley non è soltanto l’emblema del cambiamento, ma anche un sistema di coordinamento , un metodo di lavoro che unisce alcune multinazionali della tecnologia. Se Apple, Google ed Elon Musk, già Mr Paypal, hanno investito cifre ragguardevoli nel settore dell’automobile, i produttori tradizionali non possono che temere l’avvento di offensive imponderabili, in grado di modificare i parametri basilari della concezione del prodotto e della sua distribuzione.
Siamo ormai consci delle strategie e delle modalità di azione di queste aziende: grande liquidità, grandi investimenti nella ricerca e straordinario coraggio nel rompere convinzioni di mercato; niente a che vedere con la lentezza e i corporativismi tipici delle grande aziende tradizionali. Recentemente un celebre imprenditore nel settore degli antivirus per computer, McAfee, ha ripetuto quanto abbia odiato le dimensioni della sua azienda una volta preda di investitori istituzionali. Di certo, in assenza di capi carismatici e di imprenditori leader del genere di Steve Jobs, è difficile promuovere e stimolare l’innovazione.
Molti osservatori sono convinti che nel giro di brevissimi mesi i nodi verranno al pettine. Un gruppo ristretto di aziende ha investito in maniera importante sullo streaming come forma definitiva di fruizione del prodotto musicale. Aziende come Apple, Google, Spotify, Dezeer, e molte altre hanno indicato i termini di questa rivoluzione epocale. In Italia anche Tim è scesa nell’arena, molti altri operatori forti a livello nazionale sono già presenti nel settore. Non più radio o download, ma la possibilità di scegliere in maniera personale e senza limiti i propri ascolti musicali grazie a particolari aziende in grado di offrire una puntuale connessione su Internet.
Lo streaming permette una straordinaria ricchezza di contenuti, circa trenta milioni di brani, accessibili al prezzo di un abbonamento mensile, non solo in qualità standard, cioè come un Cd, ma anche in alta definizione, con formati che permettono finalmente di superare la piattezza del suono dei dischetti di plastica fino a ricreare, e in qualche modo superare, la pienezza e l’emozione che era stata propria del vinile.
Non è difficile vedere all’orizzonte la necessità che le aziende italiane si preparino a questi cambiamenti. L’intero comparto audio delle case degli italiani, cambierà faccia. Serviranno non solo nuovi apparecchi, ma anche nuovi mediatori culturali in grado di rendere interessante la fruizione di archivi pressoché inesauribili di cultura musicale. Aziende che operano nell’elettronica, nell’audio, nella editoria dei libri e della carta stampata, nella compravendita di biglietti ed eventi culturali, negli strumenti musicali, nell’editoria specializzata negli spartiti dovranno modificare radicalmente i loro prodotti e la maniera stessa di rapportarsi al prodotto musicale. La sfida è già iniziata: una nazione di sessanta milioni di abitanti, depositaria di una importante tradizione musicale non può permettersi di perdere il contatto con la realtà e con le nuove tecnologie.
Lorenzo Santoro è dottore di ricerca in Storia Contemporanea. Ha pubblicato una monografia intitolata “Musica e Politica nell’Italia unita Dall’Illuminismo alla repubblica dei partiti presso Marsilio, un’altro volume intitolato “Roberto Farinacci e il PNF 1923-1926″ e diversi articoli sul fascismo, il futurismo e il giacobinismo italiano e ha curato un volume su Giuseppe Dossetti. È autore televisivo presso la Rai e Consultant sulle nuove tecnologie inerenti la distribuzione musicale.